DEDICATO A VERA E MARIO– La vita semplice dei tempi andati

C’era una volta un bel borgo in mezzo ai boschi liguri, a mezzacosta sul mare, e per arrivarci bisognava percorre uno dei sentieri immersi nella natura: a piedi, oppure a dorso di mulo. Raccontato in questo modo sembra una bella favola, ma nella vita quotidiana si traduceva in fatiche continue e difficoltà di spostamenti. Questo borgo era Reggimonti, una bellissima frazione di Bonassola, nella zona del Levante ligure. Ancora oggi è un piccolo borgo antico con una ridente piazzetta e le case che dominano il mare. Ora nella piazzetta ci sono fiori e panchine per sedersi, in passato era tutto più rustico e, al centro, c’era la fontana che dava acqua agli abitanti, perché in passato non c’era l’acquedotto pubblico e le case non avevano l’acqua corrente.

Ma quando il paese era così diverso? Non molto tempo fa, in fondo, sto parlando degli anni della Seconda Guerra mondiale, perciò solo 75 anni, non secoli addietro. La strada che collega Reggimonti a Levanto, Bonassola e Framura, è stata fatta dopo la guerra.

La vita qui era radicalmente differente, è cambiata con la ricostruzione e il boom economico, sicuramente un mutamento maggiore di quello che è avvenuto nelle città, dove erano già presenti strade asfaltate, acquedotti e sistemi fognari.

A Reggimonti vivono ancora delle persone che rammentano com’era la situazione durante la Seconda Guerra mondiale, testimonianze preziose che non devono andare perse. Ho chiesto perciò a Vera Lagaxio e a Mario Bagnasco, entrambi classe 1931, di raccontarmi i loro ricordi. Purtroppo, dal tempo dell’intervista avvenuta il 14 agosto 2020, Vera ci ha abbandonato, e Mario l’ha seguita il 30 dicembre 2020. Ci hanno lasciato il ricordo del loro sorriso.

Vera e Mario mi hanno raccontato di come era Reggimonti nel passato mentre eravamo seduti su due panchine con il paesaggio del mare alle spalle, e i loro occhi che si perdevano nei ricordi lontani.

Una stretta strada statale lambisce il paesino (strada scambiata, ahimè, per un circuito di gare da molti automobilisti e motociclisti), ma negli anni ’40, come dicevo, non esisteva, al suo posto c’erano campi coltivati, pollai e porcilai. Per andare a Bonassola bisognava passare per un sentiero che, dopo aver attraversato l’altro stupendo borgo di Montaretto, scendeva verso il mare lungo una valle attraversata da un torrente che alimentava dei mulini. Ancora oggi è possibile percorrere la stessa via per chi ha voglia di fare un po’ di trekking.

In quegli anni, però, si andava su e giù dal sentiero per motivazioni meno piacevoli: per esempio le donne, al mattino, portavano il latte a Bonassola con secchi chiusi che trasportavano sulla testa; sempre le donne andavano a prendere l’acqua del mare per ricavarne il sale; i bambini che decidevano di frequentare la quarta e la quinta elementare dovevano percorrerlo ogni giorno. Chi era fortunato aveva un mulo per trasportare le merci.

Oggi molti campi sono trascurati se non addirittura abbandonati, lotti di terreno sono tornati ad essere bosco, ma a quell’epoca si viveva di ciò che si coltivava, perciò lo scenario era molto differente. Qui c’erano contadini, non pescatori.

Le terre hanno permesso agli abitanti di Reggimonti di superare la guerra senza soffrire la fame. Infatti, ad integrare le tessere annonarie, c’erano tanti tipi di verdura che permettevano di vivere senza fame: oltre a tutti i prodotti estivi, come pomodori, fagiolini e zucchine, producevano anche patate, cavoli, fagioli e fave che venivano cucinati durante l’inverno. E poi c’era il pollame, con le uova, e i maiali.

A pranzo si mangiavano le verdure in umido, un po’ di carne nei giorni di festa, la sera era di rigore un ricco minestrone.

Malgrado questo, la vita era difficile. “Era una vita dura”, dicono più volte sia Vera che Mario.

Innaffiare i campi non era facile come oggi. A monte, nel bosco, avevano costruito una vasca di racconta dell’acqua che veniva aperta o chiusa a seconda delle necessità. Se era aperta si creavano dei ruscelli che permettevano di bagnare i campi, ma era un lavoro continuo che durava giorno e notte: l’acqua veniva indirizzata nei vari campi muovendo la terra con una zappetta, in pratica quando una certa area era bagnata bisognava chiuderla e aprire un altro canale. Una rotazione che coinvolgeva a turno tutti.

Fatto sta che gli adulti si alzavano sempre all’alba, perché i lavori da fare erano tanti, sia in casa che nei campi.

Non esisteva l’acqua corrente nelle case, quello era un privilegio delle città, dove però, nel periodo della guerra, si moriva per le bombe o per la fame. A Reggimonti l’acqua si prendeva nella fontana del paese, posta nel centro della piazzetta. Per qualsiasi esigenza, dal lavare i piatti, cucinare, farsi un bagno (ovviamente nella tinozza), l’acqua bisognava venirla a prendere qui con dei secchi. D’estate i panni si andavano a lavare nei ruscelli, dove formavano delle pozze.

La legna era fondamentale per alimentare le cucine economiche, le stufe e i camini; si prendeva nei boschi, ma andava tagliata e trasportata.

E poi c’era l’arte dello scambio, così sistematicamente si andava a Borgotaro con sale e olio, per tornare con farina, castagne e grano.

Anche qui ci sono stati un paio di bombardamenti, non proprio a Reggimonti, ma a Bonassola, perché passava la ferrovia e gli Alleati cercavano di distruggerla (non ci sono mai riusciti). Mario e Vera ricordano la paura, gli aerei che arrivavano dalla montagna e scendevano in picchiata su Bonassola, i boati delle bombe.

La Liguria era una terra di partigiani, ma anche di ferventi fascisti, e quest’area ha visto queste terribili lotte fratricide. Ricordano l’episodio di Orlando e Bruno, due fratelli: il primo era un renitente che fu preso dai fascisti, picchiato, legato a un palo, dopo cinque giorni portato a Chiavari da Vito Spiotti, il podestà che torturava e uccideva i civili. Viene convinto a collaborare con i fascisti, chiaramente il povero Orlando dovette scegliere tra vivere collaborando o morire. Il fratello Bruno era un partigiano sulle montagne e quando la Resistenza viene a sapere che ha un fratello collaborazionista pensano che sia una spia, lo portano nel bosco e gli fanno scavare la sua fossa. Viene salvato in extremis da un compagno partigiano che garantisce per lui.

I tedeschi della Wehrmacht stavano a Pian Pontasco, sulla montagna sopra a Reggimonti: 200 tedeschi con 38 cannoni a lunga gettata, ma, come racconta Vera, “erano bravi”. Non hanno mai fatto incursioni uccidendo persone, venivano solo a prendere cibo, tante patate (una volta hanno chiesto alla mamma di Vera di friggerle per loro), verdure, olio. I veri cattivi, qui, erano i fascisti, che venivano da Bonassola per rubare le mucche, che prelevavano le persone dichiaratamente non fasciste e le picchiavano e le torturavano.

Vera e Mario mi hanno narrato molto di più, ma ho l’intenzione di scrivere un romanzo ambientato a Reggimonti al tempo della guerra, e tengo un po’ di quei racconti di partigiani e di vita semplice per quell’occasione.

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