Omaggio al 25 aprile

Il brano che qui propongo, come omaggio al 25 aprile, è tratto dal romanzo che ho appena terminato il 16 aprile e che ora sto revisionando. Siamo in Valsesia nel dicembre 1943. I fatti riportati dalla staffetta Vanna (di mia invenzione) sono veri.

Il 25 aprile è stata la liberazione da tutto questo… non bisogna dimenticarlo.

(…)

«È quasi Natale…» Romeo guardava il cielo bianco con occhi malinconici.
«Già… a casa, mia madre avrà già tirato fuori le statuine per fare il presepe. Era bello andare a cercare il muschio, le rocce. Mi manca tanto…» Ciacco finì la frase a fil di voce.
«A casa mia, in questi ultimi anni con la guerra, per Natale la mamma preparava un dolce fatto con il riso, le uova, lo zucchero messo da parte poco alla volta apposta per l’occasione, la cannella e la frutta secca. Era buonissimo.» Abbassai la testa per non far vedere gli occhi lucidi.
«Sarà un Natale triste quest’anno, per tutti noi, anche per nostre famiglie. Non sanno neppure come stiamo, se siamo vivi…» Risotto si alzò per andare ad appoggiarsi alla balaustra della balconata.
Io feci un lungo sospiro.
«Vado a fare due passi ragazzi. Ho bisogno di scaricare un po’ di tristezza. E poi mi piacerebbe capire come è andata in valle… ieri, quando Vanna è venuta ad avvisare che stavano arrivando i fascisti, Cino ha mandato un gruppo di uomini a Borgosesia, ma non abbiamo notizie.» Mi allontanai andando verso la parte bassa del villaggio, dove si incrociavano tre strade e c’era la chiesetta sconsacrata che fungeva da deposito armi. Pensai sorridendo che Rando, quando la vide, commentò il cambio d’uso dell’edificio dicendo “Ironia della sorte”.
Mi appoggiai a lato della strada, al muro della ex-chiesa. Le notizie arrivate il giorno precedente erano preoccupanti. Il 63° battaglione Tagliamento, formato da più di trecento fanatici repubblichini, fortemente alleati dei nazisti, stava arrivando in Valsesia. Gli altri partigiani più esperti mi avevano raccontato che il comandante era il famigerato maggiore Merico, invasato e feroce. Cino aveva mandato in avanscoperta una ventina di uomini, più per capire la situazione che per scontrarsi, ma avevamo sentito le detonazioni di molti colpi e sicuramente c’era stato uno scontro.
Improvvisamente vidi in lontananza la figura snella della Vanna che si avvicinava camminando di fretta e gli andai incontro.
«Ciao Vanna, hai notizie?»
La ragazza, normalmente allegra e un poco ironica, aveva gli occhi gonfi dal pianto e il volto stravolto. Mi abbracciò e scoppiò a piangere. La strinsi stretta e pensai che doveva essere successo qualcosa di terribile.
«Si Biondo, ho notizie, purtroppo. Notizie tragiche…»
La scostai con dolcezza e le alzai il volto con una mano. Il viso era rigato dalle lacrime.
«Vieni, andiamo da Cino.» Avevo il cuore in tumulto. Solo avvenimenti tremendi potevano aver ridotto la Vanna in quel modo.
Il comando era in una casetta a due piani, proprio vicino all’incrocio delle tre vie. Quando entrammo c’erano Cino, Ciro, Iso, Pedar e altri due comandanti. Quando la videro rimasero basiti.
Vanna andò a sedersi al tavolo, stremata. Le diedero del latte e del pane. Lei non riusciva a smettere di piangere.
Dopo un poco Cino le si avvicinò.
«Cosa hai da riferirci, Vanna.»
Lei fece un profondo sospiro e poi iniziò a raccontare.
«Ieri i vostri uomini si sono scontrati ad Aranco e ad Agnona con le pattuglie fasciste.»
«Gli avevo detto di non combattere!»
Vanna lo guardò con gli occhi di chi avesse visto la bocca dell’inferno e stesse parlando con qualcuno che non aveva idea di cosa significasse.
«Non ne hanno potuto fare a meno. I fascisti avevano ucciso due civili, devastato negozi e case, anche la nostra.»
«Come sta la tua famiglia?»
«Noi siamo salvi. Ma gli altri…»
«E gli scontri? Ci sono stati morti?» chiese Ciro.
Vanna incominciò ad annuire con la testa.
«Si. Due repubblichini e uno dei nostri. Angelo.» Così dicendo chiuse gli occhi e le lacrime ricominciarono copiose. Nella stanza calò il silenzio per alcuni minuti.
«Ma non è finita qui. Hanno arrestato molta gente. Il capo, il maggiore Merico, sembrava che avesse le idee chiare. Li hanno portati al municipio, alcuni sono stati picchiati, ma poi li hanno lasciati andare. Sono dei macellai!» Vanna incominciò ad urlare «Dei macellai!»
«Calmati Vanna» la voce di Cino era dolce.
«Virgilio, era un brav’uomo… gli hanno sparato alla pancia e poi lo hanno condotto in municipio per interrogarlo. Lo hanno trasportato in ospedale quando era troppo tardi… e poi ne hanno arrestati dieci.» Vanna aveva gli occhi rossi e la sua espressione faceva intendere che la parte più atroce del racconto doveva ancora venire.
«Ciceri, il commissario del partito fascista di Borgosesia, suggeriva i nomi degli antifascisti. Il primo che hanno preso, su diretto comando del Maggiore Merico, è stato il podestà, Giuseppe Osella. Poi ne hanno arrestati altri quaranta, e sapete cosa hanno fatto?» Vanna li guardava in faccia, a uno a uno. La tensione nella stanza era palpabile, nessuno avrebbe voluto essere lì ad ascoltare quel terribile racconto.
«Hanno torturato per tutta la notte i primi dieci, tra cui Mario… Mario Canova, aveva solo quindici anni! Che colpe poteva avere un ragazzo di quindici anni? E gli altri quaranta erano obbligati a guardare, per poter raccontare cosa ti succede se ti metti contro il fascismo!»
I sette uomini erano ammutoliti. Per combattere i partigiani della Valsesia avevano inviato uno tra i più crudeli battaglioni fascisti.
«Sapete cosa hanno fatto a Giuseppe, su cui si sono particolarmente accaniti, visto che da fascista della prima ora è poi diventato parte della Resistenza?» mentre parlava Vanna chiuse gli occhi «Gli hanno strappato le unghie, bruciato gli orecchi, rotto le costole… le urla si sentivano fin da lontano.» La sua voce era diventata un sussurro.
«Poi all’alba, gonfi dalle botte e distrutti dalle torture, li hanno obbligati a uscire e li hanno trascinati fino alla chiesa di Sant’Antonio, li hanno appoggiati al muro e li hanno fucilati. I cadaveri sono ancora là, e guai a chi li tocca.» Vanna scoppiò in un pianto sfrenato.
«Biondo, accompagna Vanna in una stanza al piano di sopra per cortesia. Falla stendere, deve riposarsi. Portale un po’ d’acqua. Poi va a chiamare sua sorella Migliuccia, che le tenga compagnia finché non si riprende» ordinò Cino, poi si rivolse agli altri «Signori, anche in Valsesia siamo ufficialmente in guerra. Una guerra sporca, spietata, che mieterà molte vittime. Ma non possiamo continuare ad essere alla mercé di lupi disumani come questi.»
Io passai un braccio alla vita di Vanna e l’accompagnai al piano di sopra. La povera ragazza era stremata. Intanto nelle mie orecchie riecheggiavano le parole di Cino “Una guerra sporca, spietata, che mieterà molte vittime…” Mi sentii come se fino a quel momento non avessimo davvero combattuto: il vento gelido della guerra, che non risparmia nessuno e porta solo morte e distruzione, era arrivato quel giorno.

5 Replies to “Omaggio al 25 aprile”

  1. Brava Claudia, vero, molto coinvolgente. Un pezzo di storia da non dimenticare. Scriverne e preservarne la memoria è tanto più importante adesso che tante persone che l ‘hanno vissuto non ci sono più. Il virus se le è portate via e con loro la nostra memoria storica.

  2. Grazie Claudia, con la tua scrittura riesci sempre a trasmetterci delle emozioni profonde, spero di poterlo leggere tutto molto presto.

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