
Non ricordo con esattezza quando lessi il mio primo vero libro, e per vero libro intendo un romanzo. Credo fosse all’inizio della scuola media. Era una storia di fantascienza, parlava di un uomo invisibile all’interno di una navicella spaziale e mi affascinò così tanto che ne rimasi folgorata. Mi conquistò la potenza di una storia scritta, capace di catapultarti in un altro mondo, in un altro tempo, che può farti immedesimare in personaggi incredibili. Da quel momento incominciai a leggere ed è un piacere ricordare le ore passate con un libro in mano e la musica classica di sottofondo: ancora oggi quando ascolto alcuni pezzi musicali la mia mente ritorna in automatico sulla nave del Corsaro Nero o nella jungla con Sandokan e Tremal Naik (Salgari). Per certi versi mi sembra di aver vissuto realmente quei momenti.
Il piacere della lettura continua poi per tutta la vita, ma il profondo gusto per l’avventura provato in quegli anni purtroppo lo si perde e subentra un godimento più intellettuale.
Durante la scuola media ricordo anche il piacere che provavo quando potevo scrivere temi di fantasia; i miei compagni agonizzavano perché non avevano idee, io mi divertivo a inventare vicende avventurose. In quegli anni, grazie alla scuola che mi fece partecipare ad una competizione “letteraria”, vinsi anche un premio per una breve storia che parlava di due ragazze adolescenti che si avventuravano all’interno di una antica villa abbandonata. Nello stesso periodo mi venne in mente di scrivere un libro: doveva essere una storia ambientata a Scotland Yard, ma dopo le prime due pagine mi resi conto che era difficile e abbandonai l’impresa.
In quegli anni con i miei genitori viaggiai molto in Italia. Avevamo una roulotte e perciò ogni estate si andava in posti diversi. Credo che quei viaggi abbiano aiutato a formare una sensibilità artistica che forse era già intrinseca, ma che aveva bisogno di stimoli per venire allo scoperto. Ricordo il mio stato di meraviglia davanti alla Reggia di Caserta, il senso di scoperta a Pompei, il sentirmi attonita davanti alla grandezza di Re di Puglia, la bellezza dei villaggi del Gargano.
Dopo la scuola media decisi di andare al Liceo Artistico. Continuai a leggere (rammento le meravigliose calde estati, pigre, quando mi recavo in biblioteca a Como e facevo incetta di libri di Agatha Christie), ma smisi di scrivere. Forse perché le doti creative che Madre Natura mi ha donato erano tutte concentrate sul disegno.
Durante i quattro anni di liceo ebbi la fortuna di avere un bravissimo insegnante di storia dell’arte il primo anno, che quando raccontava (preferisco usare questo verbo piuttosto che “spiegava”) ti faceva vivere l’arte come qualcosa di vivo e magnifico, ma ebbi la sfortuna di avere poi una pessima insegnante che trasformava una materia così affascinante in qualcosa di insipido e noioso.
Fatto sta che alla fine del liceo avevo scoperto che amavo l’architettura. È ancora vivido il ricordo dell’emozione che provavo quando dovevo mettermi a progettare qualcosa, quando incominciavo ad affrontare il processo creativo che ti portava con soddisfazione a realizzare qualcosa che prima non c’era, anche se poi rimaneva solo sulla carta.
Mi iscrissi alla facoltà di Architettura presso il Politecnico di Milano.
Andare avanti e indietro da Como a Milano tutti i giorni fu molto faticoso. Ricordo con particolare dispiacere il treno che dovevamo prendere al mattino: proveniva dalla Germania e puzzava tremendamente perché la gente ci aveva mangiato e dormito tutta notte. Il particolare olezzo era stato soprannominato “puzza di treno”.
Malgrado questo i cinque anni di università furono piacevoli, fatti di studio, progettazione, lezioni, risate, lavori di gruppo, sciate in inverno e qualche lavoretto per guadagnare due soldi.
In estate andavo in montagna dove i miei genitori avevano affittato un appartamento. Fu nostro per molti anni e lì mi feci parecchi amici, alcuni dei quali lo sono ancora attualmente.
Le vacanze passavano tra escursioni in montagna, serate in discoteca, bagni ai laghi, pigri pomeriggi durante i quali non si faceva nulla e tante letture. Con gli stessi amici feci anche alcuni viaggi, come in Spagna e nei bellissimi paesi del centro Italia.
Quando mi laureai ricordo con chiarezza il sentimento di smarrimento. Ero contenta di aver concluso un ciclo, ma nel contempo davanti a me c’era il nulla, non c’era più la certezza di qualcosa da fare che era lì ad aspettarmi.
Decisi di partire per Londra, avrei cercato un lavoro qualsiasi e avrei fatto pratica con la lingua. Avrei raggiunto un amico inglese che avevo conosciuto in Spagna. Ma il destino aveva deciso diversamente e pochi giorni prima di partire mi chiamarono per un lavoro continuativo per un anno in una scuola superiore.
Piansi molto e non partii.
Quella fu la mia sliding door: scoprii che mi piaceva insegnare (l’insegnamento divenne poi il lavoro della mia vita) e lì conobbi colui che divenne il mio primo marito.
Nel frattempo incominciai a lavorare in uno studio a Como dove guadagnavo poco ma avevo parecchia soddisfazione in quello che facevo.
Quando mi sposai la prima volta lasciai Como e mi trasferii a Cologno Monzese. Mi mancava molto il lago.
Trasferendomi dovetti lasciare il lavoro allo studio di architettura e ricominciare tutto da capo. Gli anni successivi furono piuttosto difficili, lavorai come architetto prima in un negozio e poi in uno studio dove mi trovai malissimo e alla fine mi licenziai.
Nel frattempo feci supplenze nelle scuole superiori e partecipai ai durissimi concorsi per l’abilitazione all’insegnamento. Superai tre concorsi in due classi d’insegnamento diverse, inoltre cambiammo casa e andammo a vivere in Brianza. All’età di 32 anni, al terzo concorso, giurai a me stessa che se non fossi entrata in ruolo anche quella volta, avrei cambiato mestiere. Per fortuna ebbi una cattedra e dopo un anno approdai dove insegno tutt’oggi, all’Istituto Superiore “Alessandro Greppi” a Monticello Brianza, docente di storia dell’arte.
Lo stesso anno in cui divenni un’insegnante a tempo indeterminato nacque mio figlio e poi ebbi il mio primo incarico come giornalista. Dovevo scrivere un articolo sul bellissimo Santuario di Oropa. Mio marito lavorava come fotografo e doveva fare il servizio fotografico. Partimmo alla volta di Oropa in tre: io, lui e il piccolo Nicolò che, mentre lavoravamo, venne lasciato alle brave suore del santuario, felici di prendersi cura di un bimbo di pochi mesi.
Incominciai a collaborare con riviste di architettura e interior design: la scrittura incominciò ad essere parte della mia vita, anche se nella forma di articoli giornalistici.
Nel contempo continuai a lavorare a scuola e mi resi conto che non aveva senso insegnare la storia dell’arte senza prima aver spiegato agli studenti il linguaggio dell’arte e averli introdotti in questo meraviglioso mondo con un approccio che li facesse sentire più partecipi. Decisi di scrivere un libro propedeutico alla storia dell’arte e nel 2001 venne pubblicato da Zanichelli “L’atto del vedere – Grammatica visiva per l’opera d’arte”.
Gli anni che seguirono furono difficili da un punto di vista familiare e nel 2004 mi divisi da mio marito.
Ovviamente il successivo periodo fu di grandi cambiamenti, con momenti tormentati e difficoltà di ogni genere da affrontare.
Con determinazione ne uscii e ebbi la fortuna, dopo un paio d’anni, di innamorarmi di nuovo e conoscere un uomo stupendo, che ho sposato nel 2010.
Un paio di mie amiche mi convinsero che dovevo scrivere quella storia per aiutare coloro che si trovavano in quel tunnel post separazione che, per chi lo vive, appare lungo, buio e senza fine. Nacque il breve libro “Giro di boa -Ritrovare il benessere dopo il trauma del divorzio”.
Da quel momento non sono più riuscita a smettere di scrivere. Sono stati pubblicati i romanzi “Virginia”, “Il fuoco nelle tenebre”, “Hana la Yazida – L’inferno è sulla terra”, “La ricamatrice di Bayeux”, “Intrigo ad Al-Khobar”.
Mi vengono in mente tante storie, scaturite da suggestioni date da luoghi, articoli che leggo, opere d’arte, personaggi storici. Ma non si possono scriverle tutte.
I romanzi pubblicati mi hanno dato anche soddisfazioni, avendo vinto premi e ricevuto ottimi feedback.
La storia, perciò, continua…
