Andy Warhol: La scarpa come STATUS SYMBOL

Per Andy Warhol le scarpe hanno avuto un ruolo speciale. Claudia Ryan ne parla in un articolo pubblicato sulla rivista Tech Art Shoes, numero di novembre 2021, qui ripreso integralmente.

Andy Warhol. Uno dei personaggi più famosi del Novecento, uno di quelli che sono passati alla storia. Quando si pensa a lui lo si collega alla Pop Art, vengono in mente i suoi capelli bianco argento, arruffati (in realtà era una parrucca, lui incominciò a perderli piuttosto presto), la sua figura trasgressiva che trasmetteva una sorta di inafferrabilità e languore annoiato, un aspetto apparente che era un misto tra narcisismo, ingenuità e determinazione. Era la maschera del personaggio pubblico, infatti nel 1984 arriverà a dire “A volte è così bello tornare a casa e togliersi il costume da Andy”.

Warhol, come spesso capita agli artisti, era un uomo complesso. Nasce a Pittsburgh nel 1928, in Pennsylvania, una città di operai immigrati che faticano tutto il giorno nelle fabbriche. Tra questi c’era anche il padre, Andrej Warhola, proveniente dalla Slovacchia, e la madre Julia Zavacky, che non imparerà mai bene l’inglese e a cui Andy è stato legatissimo tutta la vita. L’infanzia non è stata facile in un quartiere inquinato, mal frequentato, e Andy non amava giocare con gli altri bambini in strada, preferiva stare in casa a ricopiare i fumetti. La sua indole artistica era già presente.

Un’importante svolta nella sua vita è stata il suo trasferimento a New York, nel 1949, dopo aver ottenuto il Bachelor of Fine Arts a Pittsburgh. La Grande Mela è sempre stata una città ricca di stimoli, di possibilità, e Andy, con tenacia, si costruisce poco alla volta la sua carriera.

Inizia iscrivendosi al “Tech”, una scuola che aveva fatto propri gli insegnamenti del Bauhaus, primo fra tutti il principio che l’arte deve essere per chiunque, ma anche l’idea che l’arte applicata non abbia una valenza inferiore all’arte pura. Warhol fa suoi questi concetti che tanto influiranno sulla sua opera artistica.

“Giravo tutto il giorno per cercare lavori che facevo a casa di notte. Questa era la mia vita negli anni Cinquanta: biglietti d’auguri e acquarelli, talvolta qualche lettura di poesia nei caffè”. Così descrive la sua vita nel libro “La filosofia di Andy Warhol” che scrive nel 1975, dove racconta la sua solitudine in quel periodo della sua vita, malgrado vivesse sempre in appartamenti condivisi con altre persone. “Quello che ricordo meglio di quei giorni, a parte le lunghe ore trascorse a lavorare, sono gli scarafaggi. Ogni appartamento in cui ho vissuto ne era infestato. Non dimenticherò mai l’umiliazione quando, nell’ufficio di Carmel Show da Harper Bazaar, aprii il portfolio e ne uscì uno scarafaggio che scivolò giù per la gamba del tavolo. Lei ne fu così dispiaciuta per me che mi diede un lavoro”.

Nonostante questa descrizione alquanto desolata, gli anni Cinquanta segnano per Wharol l’inizio di una carriera folgorante nel campo della grafica pubblicitaria e come illustratore di riviste di moda come Vogue, Harper’s Bazar e Glamour, che lo portano a vincere premi e ad essere ricercato anche come disegnatore di moda, in particolare di scarpe. Andy ha uno stile disegnativo raffinato ed originale, le sue idee conquistano e incantano. Glamour, come primo incarico, gli chiede una serie di disegni di scarpe, e in effetti Warhol ama le calzature, ritiene siano uno status symbol e creino l’immagine della persona che le indossa, lui stesso compra scarpe costosissime per poi renderle uniche imbrattandole con della pittura.

Nel 1955 Warhol ha un incarico importante: deve studiare la campagna pubblicitaria per una famosa azienda di calzature, la I. Miller. Decide di far uscire settimanalmente sul New York Times dei disegni di scarpe che lui realizza: sono minimali, normalmente in bianco e nero e accompagnati da brevi testi. La campagna funziona e rilancia il salone I. Miller. La collaborazione durerà fino al 1957 e in questo tempo Warhol è stato l’unico illustratore per l’azienda, di fatto diventando un fashion designer.

Sempre nel 1955 Warhol produce un libro, À la recherche du shoe perdu, che celebra il ruolo centrale svolto dalle scarpe nella sua prima carriera artistica. Il titolo è un riferimento al famoso romanzo di Marcel Proust À la recherche du temps perdu (Alla ricerca del tempo perduto). Le didascalie, con il loro caratteristico carattere corsivo, sono state ideate da Ralph Pomeroy e sono state trascritte dalla madre di Warhol, Julia Warhola (o da assistenti che hanno imitato la sua calligrafia). Warhol e i suoi amici hanno colorato a mano i fogli ai coloring parties. Sono disegni sofisticati che propongono scarpe da donna fantasiose, originali, e i testi sono brevi commenti, non per forza in collegamento alla scarpa rappresentata, come “Uncle Sam wants shoe!” o “Shoe of evening, beautiful shoe”.

Nel 2016 Sotheby’s ha messo all’asta le 18 litografie colorate a mano del libro À la recherche du temps perdu e sono state vendute per 420mila dollari.

L’anno successivo, siamo nel dicembre del 1956, le calzature sono ancora al centro degli interessi di Warhol, che realizza una serie di lavori che vengono esposti alla Bodley Gallery. Il titolo della mostra è “The Golden Slipper Show o Shoes Show in America”. Sono disegni creati con la tecnica del blotted line: si traccia il disegno a matita su un foglio non assorbente (tipo carta da lucido), viene poi ripassato a inchiostro e trasferito, come fosse un timbro, sul foglio di carta da acquarello, poi può essere dipinto o, come fece Andy, trattato con la foglia d’oro.

Andy Warhol cercava di far prendere sul serio il suo lavoro commerciale esponendolo nelle gallerie, ma all’epoca fu ignorato dal mondo dell’arte affermato, dominato da espressionisti astratti come de Kooning e Pollock, e da critici intellettuali come Clement Greenberg e Harold Rosenberg. Malgrado ciò, queste elaborate fantasie in foglia d’oro rivelavano molto sulle ambizioni e sui desideri di Andy.

Le scarpe rappresentate, tutte d’oro, sono state anche decorate con metallo dorato e lamina. Ogni calzatura aveva un nome e rispecchiava il personaggio a cui erano attribuite. Tra i più famosi troviamo Elvis Presley, James Dean, Mae West, Truman Capote e Julie Andrews.

Le scarpe, dopo questa mostra, vengono abbandonate come soggetto artistico per un po’ di anni. Andy Warhol scopre la cultura pop, che propone soggetti banali, quotidiani, elevandoli ad arte, evidenziando l’alienazione della standardizzazione, eliminando ogni gestualità artistico-tecnica che mostri il coinvolgimento dell’artista, esattamente il contrario di quello che era l’Action Painting. Ne nasce un’arte accattivante, colorata, facilmente apprezzabile, nuova, molto moderna, fredda e distaccata. Ma Andy è la modernità, viene dal mondo pubblicitario, adora la televisione. Nel libro sulla sua filosofia scrive “Così sul finire degli anni Cinquanta cominciò la mia storia d’amore con la TV, un innamoramento che dura, visto che nella mia camera da letto posso trastullarmi con almeno quattro televisori alla volta”.

Siamo nel 1961. Inizia a creare i grandi capolavori che lo renderanno famoso ovunque. Il primo soggetto è la scatola della minestra Campbell, poi il biglietto da un dollaro: oggetti di largo consumo diventano delle icone. Seguono i ritratti di personaggi famosi, come Marilyn Monroe, Liz Taylor, Elvis Presley, Mao Tse Tung, fino ai suoi autoritratti. Le immagini vengono sfasate durante la stampa (diventando uniche), gioca con le ripetizioni, ironizzando sull’omologazione del mondo moderno.

E le scarpe? Tornano nel 1980 con una serie di lavori denominati Diamond Dust Shoes. Warhol non inventa più le calzature ma le riproduce, anche in questo caso trasformando un semplice prodotto di consumo in un ritratto di bellezza e glamour. In questi lavori la composizione è completamente occupata dalle scarpe, alcune viste dall’alto, alcune di lato, sembra che spingano per ottenere più spazio. Sono colorate, poste su un fondo scuro costellato da polvere di diamante che cattura la luce.

Una curiosità: nel 1956 Warhol inviò in dono al Museum of Modern Art di New York un disegno di scarpa, intitolato semplicemente Shoe. Il museo ha rifiutato il pezzo e ha chiesto all’artista di ritirare il disegno a suo piacimento.

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