
Cap.1
Carlat, giugno del 952
Il convento
Era quasi l’ora del tramonto. Una brezza fresca scendeva lungo la valle, incanalata dai crinali, faceva muovere l’erba alta e portava via l’aria stagnante del pomeriggio. Il sole rendeva incandescente l’acqua de la Jordanne, il fiume che si snodava con ampie curve lungo tutta la vallata, in lontananza, verso Aurillac. Era il momento della giornata preferito da Gerbert: la natura, con la sua bellezza, riusciva a donare un senso di pace e benessere, anche quando ci si sentiva tristi e la vita non era proprio come la si sarebbe voluta. Gerbert aveva quattordici anni, un ragazzetto tutto ossa ma dallo sguardo vivo e intelligente, di animo buono e disponibile, con due grandi occhi color del miele. Era seduto sul limite della grande rocca di basalto su cui c’era il castello del padre, il visconte Bernard di Carlat, da cui si poteva dominare visivamente questa parte dell’Auvergne. Accanto a lui c’era Louise, amica da sempre, un anno più giovane, con cui condivideva tutte le giornate della bella stagione, figlia del factotum del visconte.
«Allora sei sicuro di voler entrare in convento?» chiese Louise con voce mesta.
«Louise, ne abbiamo già parlato tante volte, lo sai che è la scelta più giusta. Sono un figlio naturale, non ho nessun diritto ereditario… se mi opponessi la moglie di mio padre, Magalende, inizierebbe a inscenare tali rappresaglie contro me e mio padre che alla fine sarei comunque costretto. In monastero avrò la possibilità di costruire una mia propria carriera, senza essere in antagonismo con mio fratello Gilbert.» Gerbert fece una pausa e guardò lontano.
«Un giorno, al monastero, ho avuto la fortuna di entrare nella biblioteca. Louise c’erano tanti libri, con le pagine colorate. Il monaco che era con me mi ha spiegato che ogni libro è come un mondo, un mondo intero, e quando hai finito di leggerne uno hai imparato un sacco di cose di quel mondo che descrive. Non trovi che sia affascinante? Da quel giorno ho deciso che mi sarebbe piaciuto fare il monaco. Da noi al castello c’è un solo libro, la Bibbia. Inoltre quando ho potuto parlare con l’abate Géraud lui è stato molto paziente con me, gli ho fatto un mucchio di domande e lui aveva le risposte per tutto. A casa nessuno ha mai tempo per me, tanto meno mio padre, che sembra donare il suo amore solo al suo legale primogenito!»
«Lo so Gerbert, me lo hai detto tante volte. Ma io ti conosco da sempre e speravo di sposarti…»
Louise non aveva mai espresso quest’idea, questo sogno di ragazzina su cui aveva fantasticato tante volte. Abbassò lo sguardo e le sue gote diventarono un po’ rosse.
Gerbert la guardò con sguardo triste.
«Mi spiace Louise, non lo sapevo. Non lo immaginavo proprio… ma io domani entrerò comunque in monastero. Quando sarai più grande troverai sicuramente una persona migliore. Per uno come me è una grande opportunità, non voglio vivere all’ombra di mio fratello per tutta la vita ed essere tenuto comunque ai margini della famiglia.»
Nel cielo bellissimi cumuli di nubi venivano portati dal vento e incominciavano a colorarsi del rosa del tramonto. Gerbert voleva molto bene a Louise, non voleva vederla triste e soprattutto desiderava che capisse bene il perché della sua scelta.
«Quando ci sono queste nuvole enormi, più grandi delle montagne, che sembrano grandi cavolfiori ma con la superficie bianca e lucente, quando ci sono queste nuvole dicevo, riesci a percepire l’estensione del cielo. Capisci quanto siamo piccoli e quanto il cielo è vasto. Senza le nuvole è uno spazio senza dimensione, non ci avevi mai pensato?» chiese Gerbert con aria fiduciosa.
«Veramente io quando le guardo penso solo che sono bellissime» rispose Louise un po’ confusa dal brusco cambiamento di argomento. «Mi diverto a guardarle perché cambiano forma. È come un gioco.»
«Si è vero, sono belle. Ma a me colpisce la dimensione. Malgrado siano così grandi il cielo lo è ancora di più, e allora mi chiedo quanto è grande la Terra. Un giorno me ne andrò da qui Louise, e vedrò luoghi nuovi. Al convento ho visto monaci che venivano da lontano, che hanno avuto la possibilità di visitare città diverse, di incontrare tante persone. È anche per questo che entrerò in monastero.»
Nel guardare Louise si accorse che una lacrima le stava rigando il volto. Lei non poteva capire, il suo mondo era fatto solo della manciata di case che formavano Carlat, la rocca con i suoi edifici, la chiesa, i pascoli e il mercato, dove si recava con la madre una volta al mese ad Aurillac. Non voleva nulla di più. Le prese una mano e guardarono il tramonto in silenzio. (…)
Tratto da IL FUOCO NELLE TENEBRE di Claudia Ryan