Si è tornati a parlare della situazione dell’Egitto in questi giorni, in concomitanza con il 25 gennaio, data che segna la sparizione di Giulio Regeni quattro anni fa. Un Egitto che molti considerano solo come luogo dove ci si può andare in vacanza a prezzi contenuti, godendosi il sole nei villaggi turistici e facendo snorkelling lungo la barriera corallina. L’Egitto, però, è anche sinonimo di dittatura (pur chiamandosi Repubblica, ma ormai, spesso, il significante non rispecchia più il significato), un regime duro e spietato, totalmente illiberale, dove per “sparire” ci vuole molto poco.
In Egitto c’è una costante guerra contro la libertà, come sottolinea Bahey Eldin Hassan, direttore del Cairo Istitute for Human Right Studies, durante l’incontro “L’Egitto, la libertà imprigionata” al Festival dei Diritti Umani a Milano. Hassan, esule, ha spiegato con veemenza la totale corruzione che caratterizza tutte le istituzioni governative e il Presidente stesso, che, per chi non lo ricordasse, è Abdel Fattah al-Sisi, politico e generale. Il sistema egiziano non vuole svelare le verità su molte questioni, perciò di conseguenza c’è una costante lotta contro coloro che invece vogliono diffondere la realtà dei fatti.
In Egitto tutti i mass media sono sotto il dominio del Governo, direttamente o indirettamente, persino le tipografie sono tutte pubbliche. C’è la censura dei canali e siti liberi esteri (più di cinquecento): non potendo accedere a queste informazioni gli egiziani non possono conoscere la verità. Persino Al Jazeera, trasmittente del mondo arabo, è proibita. Il 21 e il 22 settembre scorso c’è stata una grande manifestazione ad Assuan che un attivista è riuscito a riprendere in una diretta Facebook, racconta la giornalista Azzurra Meringolo; la diretta è stata molto seguita e partecipata, ma finisce quando si sente bussare alla porta e chi stava trasmettendo viene arrestato.
I giornalisti stranieri non sono più accettati in Egitto, non possono entrare nel Paese, oppure c’è la possibilità che vengano arrestati con false accuse a scopo intimidatorio. Questo accade anche a chi collabora con loro.
Anche gli accademici sono a rischio e la sparizione di Giulio Regeni è stato un chiaro messaggio per tutti i ricercatori stranieri: non si può “scavare” nella società egiziana (ricordo che Regeni stava facendo una ricerca sui sindacati egiziani).
Gli attivisti devono stare molto attenti, ma non solo loro, perché in Egitto basta una parola sbagliata, un comportamento sospetto, e puoi essere vittima di una sparizione misteriosa e il tuo corpo non lo ritrovano più, oppure puoi diventare il soggetto di campagne diffamatorie o di attacchi teppistici violenti intimidatori.
Con un clima come questo i giornalisti non possono neppure raccontare le proteste avvenute, ricorda Antonella Napoli, direttrice di Focus On Africa. Questo ovviamente non accade solo in Egitto, ma anche il Siria, Sudan, Cina, Turchia, Paesi dove non esiste una vera democrazia.
In questo quadro è facile intuire che per gli egiziani è difficile, quasi impossibile, far sentire la propria voce, avere una percezione corretta di quello che sta accadendo nel Paese (dove, tra l’altro, quasi un terzo della popolazione vive con un dollaro al giorno in totale povertà, mentre il Presidente e altri alti funzionari di Governo usano i soldi pubblici per i propri lussi). In questo quadro diventano perciò fondamentali le voci degli esuli, di coloro che, per la loro incolumità, non possono più rientrare in Egitto. Gli esuli sono fuggiti dalla loro terra, spesso in poche ore, con nulla, lasciando tutti i loro cari su cui, a volte, ci sono delle ritorsioni. Inoltre hanno problemi nel momento in cui devono rinnovare il loro passaporto.
Ho intitolato questo articolo “L’Egitto, le libertà imprigionate e il disimpegno lamentoso degli italiani”: finora ho parlato delle libertà imprigionate di quella meravigliosa e antica terra che è l’Egitto (di cui ci sarebbe da dire molto di più), ma cosa c’entra il disimpegno lamentoso degli italiani?
Mentre ascoltavo le testimonianze su ciò che accade in un Paese dove vige un regime totalitario, pensavo alla preziosità della nostra democrazia e a quanto sia poco valorizzata e, invece, sia data molto per scontata. Troppo per scontata. Tutto è considerato con superficialità e leggerezza.
Ci si lamenta dei politici (“Tutti uguali, destra e sinistra, non si può contare su nessuno di loro”) della corruzione, delle tasse, della troppa burocrazia. Problemi veri, spesso frasi fatte, ma ci si lamenta e dopo di ciò non si fa nulla, ognuno pensa ai propri affari, forse non capendo che lo può fare perché c’è qualcuno che sta facendo funzionare la democrazia per tutti.
Ci sono soprattutto due tendenze: chi si disinteressa completamente della politica, ritenendola sporca e non vota più, oppure chi si fa abbindolare da qualche slogan facile e ad effetto pensando che chi li recita possa risolvere i loro problemi con la bacchetta magica.
In entrambi i casi ci si disinteressa dei veri problemi e non si capisce che si sta trascurando una delle cose più preziose che abbiamo conquistato, la democrazia stessa, la quale non è affatto scontato che ci sia per sempre e vive di partecipazione. La democrazia è partecipazione. Se abbiamo dei cattivi politici è anche colpa nostra che li votiamo e gli permettiamo di agire come delle rock star impazzite, degli amministratori che predicano bene e razzolano male o che semplicemente non sono all’altezza. Partecipazione è anche studiare e informarsi (molto faticoso), ma è l’unico modo per essere consci con capacità critica della realtà che ci circonda.
Però, è bene ricordarlo, finché c’è la democrazia c’è possibilità di cambiamento: chi ruba, chi non fa il proprio dovere, chi si avvantaggia di una certa posizione può essere denunciato e arrestato. In Egitto e in Siria questo non si può fare. La corruzione è una piaga del potere, ovunque, la differenza tra il totalitarismo e la democrazia è che qui si può combatterla con la giustizia.
Sicuramente una ventata di maggiore partecipazione, attenzione, specialmente dei giovani, a scapito dell’indifferenza, dei preconcetti e della disillusione aiuterebbe questo vecchio nostro Paese.
Per approfondire:
I ragazzi di piazza Tahrirdi Azzurra Meringolo
Fuga dall’Egitto. Inchiesta sulla diaspora del dopo-golpedi Azzurra Meringolo Scarfoglio e G. Costantini