Lo sciopero: in Italia non è più un reato dal 1889 e normalmente, nel passato, era legato alle agitazioni proletarie, un sistema di lotta sociale per chiedere diritti. Aveva, ed ha tuttora in alcuni ambiti, una sua logica ed equilibrio interno, poiché chi sciopera perde il salario della giornata ma, fermando la produzione, procura un danno economico anche al proprietario dell’azienda.
Nella scuola questa logica salta, lo sciopero diventa solo manifestazione di dissenso, si scardina l’equilibrio suddetto perché quando gli insegnanti si astengono dal lavoro ci rimettono solo loro, il Governo (“proprietario dell’azienda” che paga a fine mese) ci guadagna perché semplicemente pagherà meno chi ha scioperato; nessuna produzione si ferma. Si interrompono le lezioni, ma questo non procura un danno economico, probabilmente gli studenti di Medie e Superiori sono anche felici di una giornata di pausa.
La conseguenza è che lo sciopero nella scuola non ha senso.
Ci possono essere anche altri modi per manifestare il proprio dissenso, più in linea con le caratteristiche precipue della scuola stessa e della classe degli insegnanti. Il punto è che il Governo (Berlusconi, Monti, Renzi… non cambia) non ascolta più i lavoratori, lo si è visto tante volte; ormai i politici hanno la presunzione di “sapere come si fa”, sono i vati del bene comune.
L’ultima grande mobilitazione che ha portato a scioperare tantissimi insegnanti, quella contro la sedicente “buona scuola”, è stata minimizzata e non considerata dal Governo.
Malgrado tutto questo i Sindacati continuano imperterriti a proporre solo questa forma di protesta, non capiscono che sarebbe ora di rinnovarsi.
Viviamo in una strana democrazia dove non c’è più ascolto da parte della classe politica e neppure un vero confronto, anche tra i politici stessi. Berlusconi è stato il primo a inaugurare la pessima condotta di prendere decisioni senza consultarsi con i Sindacati che, in teoria, dovrebbero rappresentare i bisogni dei lavoratori. In questo modo il Presidente del Consiglio di turno con il suo entourage è completamente scollegato dalle tante micro-realtà lavorative che, sempre in teoria, il Sindacato dovrebbe conoscere.
Dico in teoria perché nei fatti il Sindacato non è sempre rappresentativo, e la scuola ne è un esempio: i diversi Sindacati sono ormai estranei alla realtà scolastica, non riescono più a esprimere i bisogni della classe lavoratrice degli insegnanti, che è già difficile di per sé.
Gli scioperi che continuano a indire vengono ormai ripetutamente ignorati: possibile che non se ne accorgano?
Nella scuola il lavoro si è rinnovato, non solo perché nel tempo gli studenti sono cambiati, ma perché le richieste da parte del Ministero sono aumentate. Il professionista insegnante adesso deve saper affrontare l’ASL (Alternanza Scuola Lavoro), i BES (Bisogni Educativi Speciali), i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e, possibilmente, saper insegnare CLIL (Content and Language Integrated Learning).
Peccato però che il contratto è fermo a otto anni fa e tutte queste competenze non sono nemmeno menzionate. In pratica: gli insegnanti si devono professionalizzare sempre di più a parità di stipendio.
Il Presidente Renzi, sempre nella “buona scuola”, si vanta che gli aumenti saranno dati a chi li merita…
Sono solo fandonie per colpire il grande pubblico, chi vive la scuola solo dall’esterno con superficialità. La scuola non è un’azienda, malgrado, dall’era Berlusconi in poi, ci vogliono far credere il contrario. Un buon insegnante non è detto che sia chi “produce” di più perché è in tante commissioni.
Un insegnante deve conquistare innanzitutto il rispetto e la fiducia dei suoi discenti; deve comunicare loro la passione per la materia che insegna. Li accompagnerà per un pezzo della loro vita, breve o lungo che sia, e gli fornirà metodi, consigli e conoscenze per fare in modo che loro acquisiscano conoscenze, abilità e competenze che gli permettano di diventare dei cittadini consapevoli. Fare scuola non è un processo produttivo, non è un target di vendita che va raggiunto, ma una delicata e importante relazione che si instaura tra chi insegna e chi apprende. Questa è l’essenza del lavoro dell’insegnante ed è molto difficile da valutare.
Credo che i Sindacati non fossero d’accordo con questa linea di dare un aumento solo “a chi fa di più”. Forse avrebbe più senso allontanare chi non è capace o non è in grado di fare l’insegnante.
Nel seguire il filo dei pensieri mi sono allontanata dal tema principale: Lo sciopero e gli insegnanti. Chiudo con un miraggio.
Vorrei che i Sindacati diventassero più simpatetici con le esigenze vere della scuola e la smettessero di indire scioperi obsoleti. Vorrei ch fossero un vero tramite tra i lavoratori della scuola e il Governo.
Vorrei che il Governo di turno considerasse con più serietà la classe degli insegnanti, di coloro che formano le nuove generazioni, e allineasse gli stipendi a quelli dei colleghi dell’Eurozona.