“L’Italia dei primi italiani. Ritratto di una nazione appena nata”, a cura di Elisabetta Chiodini, è una di quelle mostre che non bisogna perdere, non solo per la bellezza dei quadri esposti, che illuminano l’anima, ma anche perché la maggioranza di loro provengono da collezioni private e, perciò, non sono normalmente fruibili dal grande pubblico. Sono 72 opere di 53 artisti, divisa in sette sezioni. Sono state scelte anche per la loro valenza documentaria, eseguite dai primi anni Sessanta dell’Ottocento al terzo decennio del Novecento da alcuni dei maggiori protagonisti della nostra cultura figurativa.
Percorrendola si ha un’istantanea su com’era il nostro Paese in quel periodo, poco prima e poco dopo quel fatidico 1861 quando l’unificazione geografica dell’Italia fosse compiuta. Certo mancava ancora l’identità nazionale comune, il senso di appartenenza, per quello ci è voluto qualche decennio di più.
Le sette sezioni mettono in luce aspetti diversi: la vita rurale, lo sviluppo costiero e le attività ad esso collegate, le città, la borghesia, la donna che incomincia a essere indipendente e l’esposizione lo evidenzia con il rapporto femminile con l’arte, i volti della prostituzione, il lavoro infantile e la vita nelle metropoli.
Quadri stupendi, che si osservano con ammirazione. Diversi stili, ma tutti legati a quel verismo che si fa strada proprio nell’Ottocento.
Prendiamo ad esempio alcuni di questi capolavori, anche se ognuno di essi meriterebbe un commento.
Il primo dipinto che vi presento è di Arnaldo Ferraguti, “Vespro” (1895). Esponente del verismo sociale, qui rappresenta una famiglia, stanca, mentre torna a casa dopo una giornata di lavoro nei campi. Sono presenti tutte le età: il padre, capofamiglia, ancora tonico malgrado l’età, lo seguono due giovani, probabilmente sposati, e lei tiene in braccio un bambino, e infine un ragazzino. Ognuno di loro ha in mano uno strumento di lavoro. I due uomini si sono tolti il cappello, lo tengono in mano e abbassano la testa, in segno di rispetto: il titolo dell’opera, Vespro, ci porta a pensare che le campane stiano rintoccando richiamando alla preghiera. La scena, ambientata in campagna, in autunno, è unificata da una bella e calda luce, tipica del tramonto, che stempera la durezza della fatica a fine lavoro.
Di Francesco Paolo Michetti è esposto “La racconta delle zucche” (1873). A prima vista questo dipinto appare chiassoso e allegro, le persone che avanzano sembrano una banda, dei saltimbanchi che portano gioia. Guardando meglio si vede che ognuno di loro, anche i bimbi, portano delle zucche, chi a tracolla, chi sulla testa. Gabriele D’Annunzio descrisse questo quadro: “Un vapore latteo fluttua nell’aria mattinale, sale dalli acquitrini verdognoli; e le piante dalle larghe foglie ruvide serpeggiano, s’intrecciano sul terreno, si levano in gruppi per l’alto. Per quella freschezza vaporosa vengono uomini e donne con enormi ‘cocozze’ in capo, ‘cocozze’ gialle, verdi chiazzate, di strane forme, di strani contorcimenti, simili a teschi mostruosi, a vasi guasti da gonfiori, a trombe barbariche, a tronchi di grossi rettili disseccati. È un effetto fantastico, quasi di sogno, ma la scena è reale.” Michetti riesce a conferire un effetto di immediatezza (sulla destra un cane abbaia), riuscendo a mischiare con sapienza dettagli ed evanescenze.
“Monte Tiberio” (1880) di Rubens Santoro, ci mostra la meravigliosa luce abbacinante di Capri, che esalta i colori e le ombre profonde. Il monte è sullo sfondo, in primo piano abbiamo un villaggio lungo il mare e un gruppo di giovani donne, con gli strumenti della pesca, che avanza verso di noi. Una di loro copre il sole con una mano, perché è troppo abbagliante. Alla vivacità della parte sinistra del quadro, si contrappone a destra la tranquillità dell’orizzonte, tutto giocato su toni chiarissimi dell’azzurro del cielo e il verde marino, tra i quali si inseriscono pallide pennellate che ci fanno intravvedere le montagne della Costiera.
In “Acquaiole a La Spezia” (1864) di Vincenzo Cabianca sono rappresentate tre donne che avanzano verso di noi tenendo dei contenitori pieni d’acqua sulla testa. È un incedere lento e la loro posizione retta gli dona un atteggiamento statuario. Dietro di loro altre tre donne attendono di entrare nella cavità dove sgorga l’acqua. Cabianca rappresenta le tre acquaiole con solennità grazie alla loro posizione centrale in un taglio compositivo lungo e stretto, solennità che sottolinea la loro dignità, anche se svolgono un lavoro umile che, però, è fondamentale, perché acqua è vita. Il loro ruolo di lavoratrici che non riusciranno a smarcarsi dalla fatica quotidiana, è simboleggiato dai muri che delimitano la via, intesi in questo caso come limiti alla loro vita. Sullo sfondo il golfo di La Spezia, di un bellissimo turchese, e delle vele spiegate al vento, a indicare il contrasto tra la dura e obbligata vita del lavoro e il senso di libertà.
“Porta capuana” (1906 ca) di Vincenzo Migliaro è uno sfolgorio di luce, movimento e colori. Il mercato del pesce a Napoli è rappresentato in tutta la sua chiassosità, ma sullo sfondo sono presenti le mura di Castel Capuano (come era all’inizio del Novecento), che contrasta per stabilità e forza. La meraviglia è la luce del mattino, il sole che, alzandosi in cielo, abbaglia con la sua calda luminosità attraverso l’arco della Porta.
Davanti al quadro di Pio Joris “Circo Agonale (Piazza Navona)” ci si ferma incantati a osservare i dettagli di questa rappresentazione quasi fotografica di una giornata romana brulicante di vita. Vicino a una panchina di Piazza Navona si sono ritrovate le bambinaie con i loro piccini. Si rimane affascinati dai particolari degli abiti (i bambini a sinistra hanno cappottini realizzati ai ferri), dalle espressioni, dagli atteggiamenti di un momento qualsiasi che è stato eternizzato. Sullo sfondo un’edicola, si intravvede la fontana dei Fiumi di Bernini e parte della facciata di Sant’Agnese del Borromini.

Elegante per il taglio compositivo e la limitatezza di tonalità cromatiche, è “Il Baedeker, Venezia” (1885 ca) di Alberto Rossi. Il Baedeker era una guida turistica, quella che sta leggendo il signore in primo piano. La signora che gli è accanto, e che guarda con attenzione la vera di pozzo, sta probabilmente ascoltando la spiegazione. Siamo nel cortile di Palazzo Ducale a Venezia, riconoscibile sia dalla scala sullo sfondo che dalle due magnifiche e uniche vere da pozzo in bronzo del XVI secolo, capolavori di scultura manierista. Alberto Rossi sottolinea la nascita di una nuova tendenza, quella del turismo, che nel passato era appannaggio solo dell’aristocrazia, e che nell’Ottocento incomincia ad essere praticata anche dalla borghesia colta.
Ultimo quadro che vi presento è di Carlo Cressini, “Le stiratrici” (1905-06 ca). Una bellissima luce, rappresentata con una tecnica tutta impressionista, caratterizza questo dipinto. Una luce primaverile entra dalle finestre di fronte a noi, gioca con il biancore delle tovaglie, dei vestiti, delle tende; mette in risalto i due ferri da stiro neri, la bacinella in ceramica, e poi i gesti e le espressioni delle stiratrici, che lavorano sotto lo sguardo vigile della padrona, posta sul fondo con le braccia sui fianchi.
I quadri presenti in mostra, come già detto, sono 72, e onestamente ognuno di loro meriterebbe un commento, perché sono tutti capolavori, di conseguenza è stato difficile sceglierne solo qualcuno.
Il consiglio è di andare a vederli, perché l’arte va goduta dal vero, per cogliere la vibrazione delle pennellate, la relazione che si crea tra osservatore e dimensione del quadro, la forza dell’insieme.








