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figurativo o astratto?
L’arte viene creata dagli esseri umani per esprimere un’esigenza interiore. Catalogarla è sempre una forzatura, ma, se si tiene presente che non esistono vere regole nell’arte e che ogni catalogazione è sempre relativa, avere dei punti di riferimento può aiutare a comprenderla meglio.
Una classificazione può essere fatta considerando le opere figurative e quelle astratte.
Le prime si riferiscono alla realtà fisica o comunque riproducono qualcosa di riconoscibile. Per fare questo, dipinti e sculture non devono sempre riprodurre fedelmente la realtà: gli oggetti possono anche essere deformati, distorti dalla visione personale dell’artista.
Un esempio è La stanza di Van Gogh ad Arles di Vincent Van Gogh (fig.1) che ha realizzato nel 1888: noi riconosciamo la sua camera da letto e gli oggetti che contiene, ma la profondità della stanza appare deformata, ogni cosa è contornata da una spessa linea di contorno; già questi due elementi ci indicano che non è una rappresentazione fedele alla realtà, ma quest’ultima è rivisitata sotto la spinta emotiva dell’artista.
Nella scultura La serpentina del 1909 di Henry Matisse (fig. 2), tutti possiamo affermare di vedere un’esile donna appoggiata con un gomito a un sostegno verticale, perciò è sicuramente un’opera figurativa, ma se osserviamo bene vediamo che l’artista non rappresenta volutamente un’anatomia corretta, rendendo quasi filiformi alcune parti ed esagerando con le proporzioni in altre (come i piedi e i polpacci). Ne nasce però una scultura vivace, armonica, che sembra dirci qualcosa di più sulla personalità di questa donna.


Un’immagine astratta è molto diversa: non si pone l’obbiettivo di rappresentare la realtà. È quindi un errore, quando si è di fronte a un quadro o a una scultura astratti, attribuire loro forzatamente un significato concreto. In realtà l’opera astratta è più simile alla musica perché suscita sensazioni, esprime sentimenti, suggerisce stati d’animo; a volte vuole farci riflettere.
L’opera di Arnaldo Pomodoro Il cubo (fig.3), realizzata tra il 1961 e il ’62, ci appare per quello che è: un cubo. Ma la curiosità scaturisce perché è rotto, la superficie liscia ha delle spaccature che ci fanno vedere ciò che c’è all’interno, rivelando uno spazio complesso fatto di elementi sovrapposti, loro stessi rotti e piegati. L’opera diventa inquietante perché, pur non rappresentando nulla di riconoscibile, rimanda alla distruzione e al dolore che ne deriva.
Kandinsky diceva che «la vera opera d’arte nasce “dall’artista” in modo misterioso, enigmatico, mistico. Staccandosi da lui assume una sua personalità, e diviene un oggetto indipendente con un suo respiro spirituale e una sua vita concreta.» Quello che cercava di fare, con le sue opere, era “emozionare l’anima”. Diceva, infatti, che «in generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima.» Dopo aver letto questa citazione è forse più chiaro perché, osservando il suo dipinto Improvvisazione n.26 del 1912 (fig.4), non abbiamo più bisogno di un soggetto riconoscibile, ma basta lasciarsi trasportare da forme, linee e colori, per percepire delle emozioni.
Ci sono poi opere che sono difficilmente definibili, che vivono nelle mille sfumature che si possono creare tra il figurativo e l’astratto.
Un esempio può essere la scultura di Sonia Scaccabarozzi Friends, del 2018 (fig.5); lunghe sagome di ferro sono fissate in una base di cemento, collegate da un filo d’ottone. Il richiamo alla figura umana è comunque chiara, anche se le sagome sono quasi bidimensionali, mentre il filo passa in fori che rimandano con immediatezza alla posizione del cuore umano. Pochi elementi dalle forme semplici che, insieme, creano un suggestivo messaggio poetico, rafforzato dal titolo “amici”.



