“La Cantina”: un racconto sulla guerra in Ucraina

Nell’ambito della competizione letteraria “Il maggio dei racconti”, indetto dalla Biblioteca di Lomagna (LC), il racconto “La Cantina” di Claudia Ryan ha vinto una menzione d’onore.

Ecco il racconto:

«Come facciamo a superare questo orrore? Mamma, dimmi, come faccio ad affrontare la paura che provo, a non farmi annientare dal rumore di queste bombe, continue, assordanti?»

Nadiya si tappa le orecchie con le mani. È seduta per terra, con la schiena contro il muro, le gambe rannicchiate. Chiude gli occhi. La finestra è chiusa con un’asse di legno inchiodato, entra solo un filo di luce.

«Mamma rispondimi… come è possibile che sia successo tutto questo? Solo un mese fa era tutto normale, la vita era bella, semplice. La scuola, gli amici… ti ricordi quando siamo andate insieme, io te e Polina, a comprare qualche abito nuovo? In giro per negozi spensierate. E poi il volto sorridente di papà quando abbiamo fatto una specie di sfilata per fargli vedere i nostri acquisti, e lui ha detto che eravamo le sue gioie… Chissà dov’è oggi papà. Polina, diglielo anche tu che siamo preoccupate per lui. Tu, mamma, ci dici che avrà il cellulare scarico, che se gli fosse successo qualcosa l’esercito ce lo avrebbe fatto sapere, ma io non sono così fiduciosa. Oddio… questo colpo di mortaio era ancora più vicino, avete sentito? È tremata la casa. Dio, Dio… aiutaci Signore. La paura fa strani scherzi: io ho bisogno di parlare e voi due vi siete ammutolite.»

Nadiya sospira, guarda il soffitto.

«Sai Polina, volevo dirti che non sono gelosa o invidiosa perché sei molto più carina di me, e, anche se sei tre anni più giovane, tutti ammirano te. In effetti dimostri più dei tuoi quattordici anni. La natura è così, imprevedibile, non possiamo controllarla. Abbiamo due occhi, un naso e una bocca, ma nel tuo viso appaiono belli, nel mio sembrano sgraziati. Nessuno ci può fare nulla. Tu hai preso dalla mamma. Mamma tu sei così bella! A trentasei anni sembri una nostra sorella. Comunque quattro giorni fa il fatto che io sia brutta è stato anche un vantaggio…» Mette il viso tra le ginocchia e si abbraccia la testa. Alcune lacrime le rigano le guance.

«Quando quei soldati russi hanno incominciato a picchiare sulla porta e a urlare di farli entrare è stato terrificante. Noi tre abbracciate disperate qui in cantina. Tremavamo. Quanta paura… se non ci foste state voi due sarei morta dalla paura. E poi la raffica di mitra per rompere la serratura. “Guardate! In cucina c’è del cibo buono” urlò uno dei soldati e poi li sentivamo su, al piano di sopra, a gozzovigliare e a ridere soddisfatti di mangiare decentemente. “Guardate cosa ho trovato? Qui ci deve essere anche della figa scopaiola…” E loro giù a ridere. Cosa diavolo trovò quel soldato non lo so, forse un nostro indumento, o le fotografie, fatto sta che si misero a rovistare la casa. Sentivamo i passi salire su per scale, passi pesanti di scarponi, le porte sbattute. Cercavano noi, animali in trappola, senza via d’uscita. Abbiamo sbagliato a metterci in cantina, sai mamma? Qui non c’è via d’uscita, qui sei in gabbia. La gabbia degli orrori…»

Nadiya stringe i pugni e non riesce a fermare le lacrime.

«Poi hanno trovato la porta della cantina… era chiusa a chiave, ma per loro non è stato un problema, li ha solo rallentati di pochi minuti. Qualche istante in più per poter rimanere abbracciate, per sentire il calore e il supporto una dell’altra in quegli attimi di puro terrore. Sono scesi giù, hanno acceso la luce. Erano quattro. Sentivo la loro puzza di sudore e adrenalina. “Eccole qui che ci stavano aspettando!” dice uno. Intanto ci stazzonano, ci dividono. Noi urliamo di lasciarci andare, di avere pietà. Pietà? Come eravamo ridicole a chiedere pietà all’impersonificazione di diavoli venuti dall’inferno. “Questa è brutta, la possiamo scartare” dice un altro. “È vero, è bruttina, possiamo risparmiarla, ci sono queste altre due che hanno la figa bagnata che ci sta aspettando.” Poi mi guarda e dice “Via! Pussa via e vai a cuccia in quell’angolo!” e mi spingono in un angolo della cantina ridendo, trattandomi come se fossi un cane. Ecco, in quel momento il fatto che io non sia bella come voi due mi ha salvato, ma mi ha anche mortificato, umiliato come non mai. Devo ancora capire se dare più peso alla salvezza o alla mortificazione. Di sicuro, però, non ho dovuto subire ciò che vi hanno fatto. In quel momento non pensavo, ero solo terrorizzata. Voi urlavate. Non vi ho mai sentito urlare così, e io non potevo far nulla, potevo solo guardare e piangere, stringendomi in me stessa. Vi hanno sbattuto sul letto, uno vi teneva, l’altro vi spogliava, mentre vi dimenavate, gridando come ossesse. E poi vi hanno violentato… a turno.» Nadiya singhiozza.

«La vostra bellezza sfiorita in un istante, recisa da quattro vigliacchi senza umanità. Io ho chiuso gli occhi, non ho più voluto guardare. Sono andati avanti a divertirsi con voi per un po’ come se foste delle bambole di pezza. E in effetti dopo un po’ lo eravate, perché avete smesso di urlare e vi siete arrese. Prima di andar via hanno voluto terrorizzarci ancora di più mettendosi a sparare col mitra. “Tu potrai raccontare cosa è successo” mi dice uno orgoglioso. Poi sono spariti, risalendo le scale, dandosi pacche sulle spalle per le loro imprese. La cosa buffa è che hanno spento la luce e chiuso la porta, come se chiudessero un capitolo della loro esistenza.»

Nadiya si alza e si dirige verso il letto dove è distesa la madre. Si siede per terra, accanto a lei, e le prende la mano.

«Hai freddo, mamma? Hai la mano gelida. Anch’io ho freddo. Incomincio ad avere anche fame, sono quattro giorni che non mangiamo… Hai sentito? Dei rumori! … Oddio non saranno ancora i soldati russi!»

In quel momento si apre la porta della cantina e qualcuno scende le scale dopo aver acceso la luce. Nadiya urla stringendo ancora più forte la mano della mamma. Non sono i soldati russi, ma dei volontari ucraini con la pettorina arancione. L’odore è nauseante, un misto tra urine, feci e morte. Vedono Nadiya rannicchiata vicino al letto, una ragazzina di diciassette anni sporca, traumatizzata, che tiene la mano al cadavere della mamma. Sull’altra branda c’è il cadavere della sorella minore. Uccise con un colpo alla fronte.

«Siamo amici, non spaventarti. Siamo qui per aiutarti. Vieni, alzati, vieni con noi che ti portiamo in salvo…»

(Ispirato a una storia vera, una notizia arrivata dall’Ucraina il 24 aprile 2022)

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: